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Il dramma di Caporetto

Il dramma di Caporetto

La II armata si dissolse (diserzioni, rese, ammutinamenti) tanto che gli Austro-Tedeschi nei primi due o tre giorni fecero circa 300.000 prigionieri, senza contare i morti, i feriti e i dispersi. Catturarono inoltre migliaia di tonnellate di viveri, migliaia di cannoni e marciarono velocemente per raggiungere la Pianura Padana, con lÂ’intento di far uscire lÂ’Italia dalla guerra, facendola arrendere.

Ancora oggi non è ben chiaro, nonostante l’impegno degli storici, perché un’armata così potente si sia dissolta in due o tre giorni.
Tuttavia, una cosa sembra ormai assodata: che il morale delle truppe - di tutte le truppe di tutti gli eserciti - era preoccupante, perché le condizioni di vita del soldato, nella Prima guerra mondiale, erano così antiumane da sfuggire ad ogni immaginazione.
Noi sappiamo che reparti francesi si ammutinavano, che reparti russi si arrendevano in massa e che altri reparti, sempre russi, fraternizzavano coi nemici. Esistono anche episodi di fraternizzazione tra Italiani ed Austriaci (pare che durante la notte si scambiassero viveri tra le trincee, distanti pochi metri); sappiamo che ogni assalto significava per il soldato il 50% di possibilità di uscire almeno ferito. La muraglia della mitragliatrice e del filo spinato aveva reso impossibile qualsiasi attacco.
Sappiamo anche che i generali del fronte austro-italiano credevano che la guerra si svolgesse occupando cime di montagne, o “quote”. Caporetto fu l’uovo di Colombo poiché un tenente tedesco, Rommel, che comandava un battaglione di soldati, scoprì che si poteva avanzare tranquillamente tra le montagne, senza occuparsi delle vette e, dunque, per via di valli, arrivò a Caporetto.
Caporetto, in generale, corrisponde ormai al concetto di disfatta, ma significa anche l’ottusità di certi schemi strategici che furono, appunto, ribaltati dalla genialità di pochi ufficiali, purtroppo di parte avversa e soprattutto tedeschi.

Ora, occorre chiarire le responsabilità del gen. Cadorna: egli organizzò bene la ritirata, fortificando, nel frattempo, assai stabilmente il Piave e il massiccio del Grappa. Questo fu reso necessario dall situazione del momento in quanto, per lo sfondamento degli Austro-Tedeschi, il fronte si era molto ridotto e concentrato, appunto, sul Piave e sul Grappa.

Il passaggio delle consegne da Cadorna a Diaz vide un cambiamento della situazione.
Le truppe, infatti, che non erano più costrette a quelle estenuanti ed assurde sortite (che significavano la morte certa) che avevano caratterizzato le undici battaglie sull’Isonzo, sentirono il morale risollevarsi; grazie ad un più attento interessamento del Comando, le famiglie dei combattenti ebbero aiuti e conforto, almeno per il fatto stesso di non sentirsi del tutto abbandonate , mentre i mariti, i fratelli, i padri che erano al fronte sentivano di combattere per qualcosa . In questo furono essenziali i Carabinieri, con il loro lavoro di informazione e assistenza. Terminarono gli attacchi sul Carso, terribili in inverno per il gelo e in estate per la mancanza d’acqua; migliorarono, infine, anche le condizioni dei soldati nelle trincee del Monte Grappa, assai ben organizzato e più vivibile rispetto alle trincee che i combattenti avevano conosciuto precedentemente.

Una volta sul Piave, l’esercito italiano non si mosse più.
Esso fu aiutato da alcuni divisioni inglesi, francesi e da un reggimento americano. Si trattava, dopo lÂ’enorme disfatta di Caporetto, di ricostituire lÂ’esercito, lÂ’armamento, le salmerie, fino al giugno del 1918 (Battaglia del solstizio dÂ’estate) quando gli Austriaci attaccarono per lÂ’ultima volta cercando di sfondare, ma senza risultato.
Esattamente un anno dopo Caporetto, il 24 ottobre 1918, l’esercito italiano scatenò un attacco di media entità: un reparto di questa offensiva arrivò a Vittorio Veneto che fu la caporetto degli Austriaci che, ormai, erano ai minimi termini.
Proprio in memoria di ciò, nel Bollettino della vittoria, emesso dal Comando e firmato Diaz (anche se venne scritto da Ugo Ojetti), si legge, alla fine:

“I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono, in disordine e senza speranza, le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”